MINIERE E MINERALI A SIENA

Il territorio

    La Toscana meridionale è l'unica area al mondo dove l'attività estrattiva si svolge da 2500 anni e dove è presente una notevole varietà di rocce e minerali che la rende di grande importanza scientifica e didattica.
    Non a caso fu proprio un senese, Vannoccio Biringuccio, a pubblicare nel 1540 il De Pirotehnia, che non è soltanto una bella opera della stamperia rinascimentale, ma sopratutto il primo testo al mondo della moderna scienza mineraria e metallurgica, all'epoca tradotto in diverse lingue.

    Tuttavia, l'attività mineraria nel senese non ha mai generato grandi ricchezze, per una serie di motivi:
    - l'esiguità dei giacimenti (c'é di tutto, ma poco),
    - l'insufficiente rete stradale e ferroviaria,
    - le resistenze dei proprietari terrieri, che fino al 1927 detenevano tutti i diritti sul sottosuolo e imponevano eccessivi oneri,
    - la scarsa propensione degli imprenditori locali ad investimenti nel settore minerario.
    Già nel 1561, l'ambasciatore veneto Vincenzo Fedeli descrisse i senesi come persone che "non attesero mai ad industria alcuna, se non a quella dell'agricoltura", cosa che si è protratta fino ai giorni nostri, garantendo un ambiente salubre ed a misura d'uomo.

    Dove trovare minerali in Toscana. In questa pagina sono descritti i siti del patrimonio minerario e del patrimonio mineralogico della Toscana nei dintorni di Siena: gli itinerari mineralogici, le miniere attive, le miniere abbandonate ed i siti minerari dismessi in un raggio massimo di 60 Km e 60 minuti di percorrenza da Siena, accompagnati da foto dei minerali da noi trovati e da mappe scaricate dal web.
    Si raccomanda di chiedere il permesso di accesso ai proprietari, di non avvicinarsi a vecchie strutture, fronti di cava, gallerie minerarie ed emanazioni gassose, e di non esporsi a minerali pericolosi (amianto, ossidi di piombo, ecc).

    Da non perdere la visita al Museo di Storia Naturale di Siena, che espone raccolte di rocce, minerali e fossili provenienti da tutta la Toscana. Particolarmente interessanti sono:
    - la collezione di marmi gialli della Montagnola Senese;
    - la collezione di terre bolari del Monte Amiata;
    - la collezione dei minerali grezzi e lavorati delle miniere di Campiglia Marittima.

Miniere di Lornano e Poggio Orlando (solfo)

    Presso Lornano, in localià Miniera, vicino all'uscita Badesse del raccordo autostradale Siena-Firenze, si trova il più grande giacimento di solfo della Toscana, anche se piccolo se confrontato con quelli siciliani. Lo zolfo, oltre che in masse e formazioni granulari, si presentava anche in cristalli bipiramidali ben formati e di notevoli dimensioni (fino a 6 cm), che erano ricercati dai principali musei italiani.
    L'attività estrattiva di queste miniere di zolfo impiegò un centinaio di operai e si svolse dal 1899 al 1908 nella miniera di Lornano e dal 1909 al 1923 nella miniera di Poggio Orlando, situata a meno di 100 metri di distanza (mappa a lato), oltre ad una modesta ripresa tra il 1937 ed il 1946 con la ricerca di Montenero distante 200 metri.
    Inizialmente lo sfruttamento di questa miniera di solfo fu conveniente solo per l'isolamento in cui si trovava Siena, tanto che il prodotto veniva venduto sul mercato locale come antiparassitario dei vigneti; sucessivamente furono prodotti pani spediti da Castellina Scalo per essere destinati a molteplici impieghi industriali.
    Tuttavia il giacimento è stato sfruttato solo in parte a causa della notevole presenza di acqua in profondità, ed è anche mancato il permesso dei proprietari confinanti per continuare la coltivazione: probabilmente è quindi un giacimento piuttosto esteso, come testimoniato dalla presenza nella zona di sorgenti solfidriche e di pozzi dai quali si sprigiona un odore di idrogeno solforato.
    Lo zolfo veniva estratto da un banco di marna bituminosa situato sotto uno strato di argilla e veniva raffinato sul posto in dei forni Gill che utilizzavano la lignite estratta nei dintorni (Lilliano: vedi sotto): due forni sono ancora visibili, assieme a magazzini, officine, al dormitorio - refettorio ed alla palazzina dell'amministrazione oggi abitazionne privata.
    Gli ingressi alle miniere non sono più riconoscibili e nella vecchia discarica, oggi terreno agricolo privato, si possono trovare in occasione dell'aratura frammenti di zolfo ed efflorescenze di gesso (un tempo abbondante e nerastro per le inclusioni di bitume), mentre aragonite e celestina sono sempre state rarissime.
    Sempre nel Chianti, altri piccolissimi giacimenti di zolfo sono stati sfruttati nella prima metà dell' 800 nella zona di Aiola (Vagliagli), dove erano associati a sorgenti termali ormai scomparse e ad una putizza ancora esistente.
    Percorrenza in auto: 14 Km, 15 minuti.

Miniera di Lilliano (lignite)

    Nelle colline argillose attorno a Siena venivano coltivate decine di miniere di lignite xiloide, formate in ambienti lacustri di 5-6 milioni di anni fa: a Belcaro, nei dintorni di Grotti, ai margini di Pian del Lago, nella piana del Casino, nell'area di Lilliano e Campalli, tra Lucignano e Bossi in Chianti. Per decenni è stata una risorsa energetica importante, dato che l'Italia era priva di giacimenti di carbone e petrolio.
    La lignite era per lo più utilizzata per le locomotive della stazione ferroviaria, la ferriera di Colle Val d'Elsa, la raffinazione dello zolfo della miniera di Lornano (vedi sopra) e le fornaci da calce e da laterizi della zona, in quanto era conveniente utilizzarla solo sul posto, dato che conteneva molta acqua e, se spedita, i grossi pezzi arrivavano frantumati con conseguente deprezzamento. La concorrenza del carbone e del gasolio portò alla chiusura delle ultime "bocche" nel 1965, oggi tradite solo da macchie nerastre che spiccano nei campi lavorati.
    La miniera più interessante è nei pressi di Lilliano (lungo la strada tra Monteriggioni e Castellina in Chianti), composta da diverse gallerie ed una teleferica portava il materiale alla stazione di Castellina Scalo. Sono giunti fino a noi buona parte degli edifici minerari, perché riutilizzati come rimessa per gli attrezzi agricoli o recuperati a fini abitativi. Curiosa la cappella dedicata a Santa Barbara, oggi all'interno di un'area residenziale completamente recintata, dove la porta di ingresso ha delle piccozze come maniglie: è la protettrice dei minatori, venerata in una grande festa che solo i più vecchi ricordano.
    Nei terreni circostanti è ancora possibile trovare dei frammenti di legno silicizzato (pietrificato) e di lignite xiloide.
    Percorrenza in auto: 26 Km, 26 minuti.

Cava di Poggibonsi (argilla)

    Nella cava di argilla abbandonata che sovrasta l'uscita Poggibonsi Sud del raccordo autostradale Siena-Firenze, si rinvenivano stupende rose di gesso (cristalli lenticolari), anche di grandi dimensioni (cm. 20-25), simili alle rose del deserto, ma di colore grigiastro per le inclusioni di argilla e con "petali" di minore spessore.
    La formazione di questi particolari aggregati, rinvenuti anche in altre zone del senese, si verifica quando le acque circolano ad alta temperatura, mentre il gesso "coda di rondine", che si trova nei terreni argillosi circostanti, si forma quando le acque contengono determinate concentrazioni di acidi organici.
    Percorrenza in auto: 30 Km, 23 minuti.

Chianti (calcare)

    I Monti del Chianti sono dominati dall'alberese (calcare marnoso), una pietra da costruzione utilizzata nella zona per realizzare edifici e pavimentare le aie delle case coloniche.
    Un tipo raro e particolare, utilizzato per realizzare gioielli e suppellettili, è la "pietra paesina", detta anche "calcare paesino" o "calcare ruiniforme", oppure "marmo paesino" o "marmo ruiniforme" (ruin marble), che si trova quasi esclusivamente in Toscana: tagliato e levigato, sembra formare paesaggi astratti o castelli in rovina, dovuti all'infiltrazione nelle fessurazioni di acque contenenti ossidi ed idrossidi di ferro e manganese.
    In alcune aree, nei massi di calcare accatastati ai margini dei vigneti dopo il dissodamento, è stata trovata marcasite (in piccoli aggregati sferoidali) e quarzo (cristalli di 3-4 mm, talvolta giallastri perché ricoperti di limonite); altrove, nelle pietre sciolte nei vigneti, si trova pirolusite in forma dendridica ("dendridi di manganese").
    Percorrenza in auto: 20 Km, 24 minuti.

Cave della Montagnola Senese (marmo, ferro)

    La Montagnola Senese, che inizia a 10 Km da Siena, è un massiccio calcareo nella quale si aprono numerose grotte e cave di marmo con bellissime colorazioni gialle, rosse e viola dovute a intrusioni di minerali di ferro e manganese: si tratta di oltre 70 cave, utilizzate fin dall'antichitè e nel medioevo, alcune delle quali ancora attive.
    Nel marmo, in geodi o in venature, si può trovare quarzo (anche nella rara varietà "cristallo di rocca", lungo fino a 4 centimetri), meno comunemente idrossidi di manganese e pirite e, non in tutte le cave, ematite (anche in forma lamellare nei filoni di quarzo contenuti negli scisti sovrastanti i marmi), goethite e rutilo, raramente adularia, anatasio, apatite, aragonite, azzurrite, bornite, brookite, calcocite, calcopirite, crisocolla, galena, gesso, malachite, siderite, sfalerite e tennantite.

    Nella zona sono stati sfruttati filoni di ematite, probabilmente noti già nel VII secolo a.C. (negli scavi di un villaggio etrusco nei pressi del podere Campassini in località Monteriggioni è stato trovato un forno fusorio con scorie metallurgiche) e nel XI-XIII secolo (al castello di Montarrenti c'era una ferriera che forse lavorava anche materiale locale), e certamente nel XV e XVI secolo (podere La Senese in località Lucerena, dove sono anche presenti depositi di scorie).
    Questo ha spinto ad effettuare nel 1939-1940 una serie di scavi, pozzetti e brevi gallerie, con l'estrazione di 800 tonnellate di minerali ferrosi, trovati in vene quarzose nelle formazioni scistose sovrastanti i marmi o nei contatti tra scisti e marmi, oggi testimoniate da trincee, pozzetti e cumuli di discariche disseminate, oltre che in località La Senese, anche a Bucaccia, Sassarella, Carecchia, Scopaioli, Pietra Cupa. I minerali presenti sono ematite, goethite, limonite, siderite, wad e raramente dolomite, magnetite e pirite.

    Nelle cave di calcare cavernoso (Lecceto, Bracciano), usato come pietra da costruzione nella zona ed a Siena ("pietra da torre"), si trovano cristalli isolati di quarzo affumicato bipiramidale di 1-2 centimetri, sopratutto nella parti detritiche superficiali.
    In una cava di quarzite abbandonata (Celsa), da tempo nota per la presenza di cristalli di quarzo incolore, caolino e wad, sono stati trovati nel 2003 monzanite e microscopici cristalli allanite, anatasio e rutilo.

    Percorrenza in auto:
    alle cave di marmo: 16 Km, 20 minuti.
    alle ricerche di ematite: 17 Km, 24 minuti; + camminata 0,5 km.
    alle cave di calcare: 10 km, 6 minuti.
    alla cava di quarzite: 24 km, 16 minuti.

Miniera delle Cetine (antimonio, solfo)

    La miniera delle Cetine di Cotorniano è stata una importante miniera di antimonio, destinata negli anni 2000 a parco minerario subito abbandonato, tanto che oggi i sentieri sono invasi dalla vegetazione, il canalone nel quale si aprono le gallerie è stato recintato ed il museo minerario allestito a Chiusdino è dismesso da anni.
    Di prossima realizzazione una costosa bonifica del villaggio minerario, oggi in stato di abbandono e di proprietà della Regione Toscana, esclusivamente finalizzata a rendere vendibili gli edifici: infatti il progetto operativo ha previsto la demolizione dei ruderi degli ultimi anni dell' '800 e non ha compreso la messa in sicurezza del canalone dove si trovano gli ingressi delle gallerie.
    Si tratta tuttavia un Geosito di Importanza Regionale (GIR-18) e anche mondiale: qui sono state trovate 80 specie di minerali, alcuni dei quali per la prima volta al mondo, e rappresenta un' "unica testimonianza nel suo genere per gli aspetti archeominerari, storico-sociali e culturali legati al lavoro nelle miniere".
    Il villaggio minerario conserva la palazzina dell'amministrazione, la casa del contabile, la casa del caporale, il forno per il pane, la vasca di raccolta dell'acqua, i resti della vecchia fonderia, del laboratorio di chimica e dell'ufficio postale, il giardino con gli ingressi murati delle prime gallerie realizzate a fine '800 (chissà cosa nascondono), una rara condotta dei fumi in pietra lunga 100 metri ed alta 2 metri (destinata alla demolizione, mentre in Sardegna è stata musealizzata), e poco distante la nuova e la vecchia polveriera.
    La miniera, attiva in modo saltuario tra il 1878 ed il 1944, ha fornito complessivamente circa 3.000 tonnellate di antimonio, oltre a solfo e quarzite. Nelle discariche, situate accanto al villaggio, si trovano scorie di fonderia e stibnite (= antimonite), raramente altri minerali.
    Poco distante si trova una cava di quarzite abbandonata ("Cava delle Cetine"), pericolosa per i due gradoni alti diversi metri: muscovite (lamelle nella massa), pirite (cristalli di un millimetro) e, poco comuni, arsenopirite, calcopirite, quarzo xx e tormaline policrome.
    Percorrenza in auto: 19 Km, 25 minuti.

Miniera di Camporedaldi
(argento?, piombo, pirite)

    Una bella passeggiata nel bosco mediterraneo porta a questa miniera abbandonata tra Spannocchia e Pentolina (Rosia), nella Riserva Naturale dell'Alto Merse.
    Il giacimento consisteva in afforamenti di galena nei calcari di ricoprimento ed una sottostante cupola di pirite, discontinua ed associata a gesso e celestina, che poggiava su scisti e quarziti del permiano.
    La storia scritta inizia verso il 1870, quando fu sfruttato un piccolo affioramento di galena argentifera per ottenere piombo dai forni della zona, ben presto abbandonato e poi intensamente coltivato dal 1909 al 1922, quando furono realizzate diverse gallerie ed un pozzo profondo 23 metri. La pirite e la marcasite furono coltivate tra il 1930 ed il 1940, quando l'industria chimica se ne interessò per estrarre l'acido solforico. Nel dopoguerra, fino al 1959, furono effettuate ulteriori ricerche, trovando solo piccole mineralizzazioni.
    Le gallerie sono quasi tutte franate per l'inconsistenza della roccia e solo in un cantiere è ancora visibile l'ingresso di una galleria (si raccomanda di non entrare in quanto non sono più presenti armature di rinforzo), mentre i fabbricati sono ridotti a pochi ruderi (cabina elettrica, officina, laveria ed un lungo tratto del canale di approvvigionamento dell'acqua).
    Nelle discariche è comune celestina (soprattutto nel cantiere 2, di grande interesse mineralogico, anche in cristalli di 2-3 centimetri), galena (sopratutto nel cantiere 1, in masse granulari, raramente cristalli di 1-2 mm), litargirio (un ossido di piombo derivato dalla galena, molto tossico, non citato nelle guide in quanto privo di interesse mineralogico, di aspetto terroso e colore giallo-arancio), marcasite (anche in forme concrezionate), melanterite, minio (un altro ossido di piombo, in patine rosse sulla galena), gesso (anche in grossi aggregati di cristalli) e quarzo, mentre rari sono albite, barite, goethite, pirite, zolfo (incrostazioni); citata la sfalerite nelle relazioni minerarie dell'epoca.
    Di interesse scientifico la presenza di metasiltiti, rocce di colore grigio viola, marcatamente fogliettate, formate 240 milioni di anni fa, che hanno contribuito a proporre il cantiere 2 tra i Geotopi di Interesse Locale (GIL-39): sono visibili sopratutto nell'alveo del torrente che attraversa l'area, caratterizzato da acque di color rosso ruggine, palese testimonianza dell'impatto sull'ambiente dell'attivitè mineraria.
    Percorrenza in auto: 22 Km, 30 minuti; + camminata 1,3 Km.

Miniere di Poggio Fogari
(ferro, rame, piombo, argento)

    I recenti scavi archeologici effettuati al villaggio ed al castello di Miranduolo (Chiusdino), costruito su uno sperone di calcare cavernoso ai piedi del Poggio Fogari, hanno potuto appurare la connotazione mineraria e metallurgica di questo insediamento attivo tra il VII ed il XIII secolo.
    Piccole trincee, pozzi e cunicoli minerari sono stati stati individuati all'interno del villaggio, nelle immediate vicinanze e nel versante opposto del Poggio Fogari, una delle quali dotata di una sala con al centro un pozzo utilizzato per la risalita del minerale. All'interno del villaggio sono stati inoltre individuati i resti di un vasto impianto metallurgico completo in tutte le sue fasi: veniva trattato soprattutto il ferro, ma alcune scorie e colate indicano che veniva lavorato anche il rame ed il piombo.
    E' stato quindi ipotizzato che calcopirite, galena argentifera, sfalerite e limonite venivano estratti da filoni a solfuri misti associati ad idrossidi di ferro nella zona di ossidazione superficiale ("cappellaccio" limonitico), individuati corrispondenza delle faglie che percorrono il Poggio Fogari sia nel calcare cavernoso che al contatto tra questo ed altre formazioni.
    Oggi possiamo trovare interessanti mineralizzazioni in una fascia di calcare silicizzato che percorre il versante nord-est di Poggio Fogari: comuni antimonite, stibiconite, valentinite, quarzo (anche in geodi) e, poco comuni, baritina, calcedonio, solfo. Salendo di quota, in piccoli affioramenti di diaspro, si trovano ossidi di manganese. In altre aree di calcare silicizzato, segnalata calcopirite nel versante sud (lungo il fosso della Gallosa), e abbondante calcedonio anche mammellonare lungo la strada provinciale. A poca distanza dal castello, dove sorgeva la ferriera del Castellaccio, si trovano scorie di fusione, residui della prima fase di lavorazione del minerale e testimoni della ricchezza dei filoni. Le recenti ricerche minerarie non hanno però individuato giacimenti profondi.
    Percorrenza in auto:
al castello: 31 Km, 40 minuti; + camminata 1,3 Km.
al calcare silicizzato: 39 Km, 50'; + camminata 0,3 Km.

Cava di Fontazzi (gesso)

    Questa gessiera abbandonata, proposta come Geotopo di Interesse Locale (GIL-33), occupava decine di operai che abitavano in un vicino villaggio di cavatori.
    La cava è impostata nei gessi della Formazione delle anidriti di Burano, mentre al di sotto (ovvero sotto il livello del piazzale della cava) ed al di sopra (nella porzione superiore della parete della cava) si trovano le rocce della Formazione di Santa Fiora (argilliti e siltiti), ad un primo sguardo non facilmente distinguibili: infatti il gesso, normalmente di colore bianco, con il tempo si è alterato ed è stato ricoperto da una patina più scura.
    Le Anidriti di Burano sono rocce costituite da banchi di anidriti (CaSO4) parzialmente o totalmente gessificate (CaSO4 * 2H2O) di colore bianco, alternati a calcare dolomitico grigio scuro ed a strati brecciati.
    Questi depositi si formano in processi evaporitici per precipitazione di soluzioni concentrate di acqua di mare, dette salamoie. Quindi il sito racconta un ambiente di deposizione in acque basse e ferme, come una laguna costiera, ed un clima arido o semi arido, riferibile al Triassico superiore (225-200 milioni di anni fa).
    Nel gesso (il quale si presenta anche in grandi lamine trasparenti) si può trovare lo zolfo, e nel calcare dolomitico si può trovare limonite e siderite, mentre rari o rarissimi sono aragonite, baritina, dolomite, dowsonite, fluorite, marcasite, millerite, quarzo.
    Percorrenza in auto: 20 Km, 16 minuti; + camminata 0,3 Km.

Cava Poggio la Croce, Murlo (marmo verde di Vallerano)

    Le ofioliti attorno a Vallerano, villaggio di antichissime origini, hanno fornito il serpentino per la costruzione del Duomo di Siena e di altri importanti edifici.
    Veniva estratto dalla cava di Poggio la Croce (geotopo di importanza regionale GIR-19) e soprattutto dalle sottostanti "prode dei fossi" di Pietracupa e dei Fangacci, conosciuto anche come il "fosso degli Scalpellini", dove si trovava il materiale migliore, il tutto gestito dai frati dell'Eremo di Monte Specchio. In queste aree le serpentine sono adatte ad un uso ornamentale in quanto si presentano meno fratturate che altrove e di un verde molto scuro per la notevole presenza di magnetite dispersa nella massa (marmo verde o marmo nero di Vallerano).
    La prima notizia risale al 1271, quando un documento dell'Opera del Duomo cita una petraia nei pressi del vicino Ponte di Macereto, dove venivano preparati blocchi di 80-100 kg, ognuno dei quali veniva trasportato con un mulo attraverso impervi sentieri (in media, partivano 7 muli al giorno). Nei secoli successivi la cava è stata abbandonata o sottoutilizzata, a parte una ripresa tra il 1930 ed il 1980 con l'estrazione di lastre per pavimenti e granulati per piastrelle, a cui si riferiscono gli scivoli verso il piazzale inferiore dove avveniva la lavorazione del materiale. Oggi è classificata come "cava storica" ed è utilizzata solo per ricavare materiale per i restauri.
    Antigorite, crisotilo (amianto), lizardite, serpentino (roccia composta dai minerali precedenti), serpentino tipo ranocchiaia (varietà di serpentinite tipica della Toscana, con striature scure di magnetite alternate a striature chiare di serpentino), ematite e limonite (entrambi in patine rossastre o giallastre); poco comuni bornite, calcopirite, clorite, crisocolla, diallagio, grossularia, malachite, pirite.
    Percorrenza in auto: 26 Km, 30 minuti; + camminata 0,2 Km.

Miniere di Vallerano, Murlo (rame, manganese)

    Presso il paese di Vallerano, nel serpentino, sono visibili tracce di ricerche minerarie di rame. La storia inizia tra la metà dell' 800 e gli inizi del '900, quando furono estratti alcuni blocchi superficiali di calcopirite. Durante la prima guerra mondiale furono realizzate trincee, pozzi e gallerie, con l'estrazione di diverse centinaia di tonnellate di calcopirite, che veniva trattata sul posto. Nei primi anni della seconda guerra mondiale furono prolungate le gallerie essitenti, trovando solo deboli mineralizzazioni piritoso-cuprifere nonostante le grandi aspettative iniziali.
    A metà pendice resta la discarica della galleria principale (oggi quasi completamente ostruita), mentre sulla sponda del torrente sottostante c'é una discarica di scorie: qui infatti si trovavano gli impianti per l'arricchimento, delimitati da un muro a secco in parte ancora presente e all'epoca dotati di un canale che captava l'acqua più a monte.
    Per raggiungere l'area mineraria è difficile utilizzare la vecchia scenderia a causa della fitta vegetazione e dell'elevata pendenza, ed è anche difficile partire dal ponte sul torrente Pietracupa per seguire il greto fino al piazzale inferiore. Nel materiale molto alterato della discarica superiore sono segnalati i seguenti minerali, in ordine di frequenza: calcopirite, malachite, azzurrite, bornite, calcosina, covellite, talco, crisocolla, cuprite, sfalerite, calcocite, rame nativo.
    Sempre nel colle di Vallerano, nei diaspri, fu coltivata durante la prima guerra mondiale una piccola miniera di manganese (tenore medio del 35%), oggi testimoniata dalla presenza nel bosco di brevi gallerie, trincee e cumuli di minerale estratto: abbondante la pirolusite (comune anche in piccoli cristalli, raramente con dimensioni di 3-4 mm all'interno di geodi), raro lo psilomelano.
    Nella zona sono stati concessi estesi permessi di ricerca, per cui può capitare di imbattersi in cumuli di materiali di scavo. Documenti storici segnalano il ritrovamento di rame nativo non solo sul colle di Vallerano ma anche in quelli circostanti, come sul Poggio al Piano e nei pressi di Montepescini, oggetto di ricerche minerarie senza esito. Un filone di talco, mai coltivato, taglia in direzione NW-SE il fosso Pietracupa. Alcuni autori segnalano a Vallerano una miniera di antimonio, indicata in vecchie carte geologiche: in realtà è un errore di stampa, perchè nel punto marcato c'é la miniera di rame.
    Percorrenza in auto: 22 Km, 28 minuti; + camminata 0,6 Km.

Miniera di Poggio Abbù, Murlo (rame)

    E' una delle più interessanti miniere di rame della Toscana. Il geosito (GIL-45) si sviluppa in una parete di diabase a strapiombo sulla sponda destra fosso del Convento, in un paesaggio di selvaggia bellezza nella Riserva Naturale del Basso Merse e nei pressi dei suggestivi ruderi dell' Eremo di Montespecchio (o Conventaccio), costruito nell'XI secolo utilizzando materiali della zona: il serpentino ed il "calcare rosato", un conglomerato a cemento calcareo di origine lacustre.
    Le mineralizzazioni consistono in vene di calcopirite immerse nel quarzo e disseminate nella massa del diabase, associata a minori quantità di bornite (= erubescite) e pirite cuprifera, con tenore medio in rame del 10%. Il minerale è anche diffuso nella massa basaltica in minutissimi elementi con tenore dello 0,5%.
    E' possibile che le prime coltivazioni minerarie siano da collegare al vicino sito archeologico etrusco di Poggio Civitate (Murlo), dove sono state trovate scorie metallurgiche (raggiungibile in un'ora e mezzo con un percorso trekking segnato).
    Sono ormai scomparse le cinque gallerie realizzate durante la seconda guerra mondiale (1940-1944, con modesta ripresa 1952-1956), anche prolungando quelle aperte nei primi anni del '900: quella situata nella quota più bassa, lungo la gola del fosso del Convento, è prossima alla totale occlusione per i materiali franati, mentre le altre gallerie erano già franate nel 1956. Non c'é nemmeno traccia dei fabbricati indicati nelle mappe dell'epoca, scomparsi per effetto delle frane e delle piene del torrente.
    Sul ripido versante rimangono due piazzali con cumuli di minerale alterato: molto comuni calcopirite (anche in noduli), pirite, quarzo, sfalerite (= blenda), patine di covellite e malachite; rare bornite (patine sulla calcopirite), calcosina, crisotilo, cuprite, galena, malachite xx, melanterite, prehnite e rozenite. Alcuni di questi minerali sono contenuti in nidi e venule all'interno di una pasta argillosa grigiastra.
    Più a valle, sempre nel diabase, fu segnalata la presenza di stannite in ganga silicea ad alto contenuto di stagno (con il quale, unito al rame, si produce il bronzo) e di sfalerite varietà marmatite (blenda nera).
    Percorrenza in auto: 28 Km, 25 minuti; + camminata 2 Km.

Miniere di Murlo (lignite, manganese)

    "Miniere di Murlo" è un villaggio minerario nato accanto ad un grande giacimento di lignite picea e recentemente tornato ad essere abitato, dal quale partono interessanti sentieri.
    Un percorso ad anello di 3 km, non segnalato, attraversa il cantiere minerario attivo dal 1830 al 1948 occupando fino a 300 operai: prima segue il fondovalle del Crevolicchio passando davanti al traliccio del Pozzo del Cerrone che portava a 60 metri di profondità, realizzato nei primi anni del '900 in sostituzione di un manufatto in muratura. Poi sale di quota e raggiungere il piacevole lago dell'Acquabuona, nato verso il 1930 a causa della diga-discarica formata con le argille che ricoprivano i banchi di lignite del soprastante cantiere Roma. Da qui, salendo ancora, si raggiungono le aree dove avveniva lo scavo a cielo aperto e proseguendo si arriva al poggio del Farneto, dove si trovava la polveriera (frammenti di laterizio) e l'inizio della vecchia scenderia (visibile un ancoraggio di cemento). Infine si scende verso il Fosso del Serpentaio dove si trovano gli ingressi murati delle gallerie, per poi tornare verso il villaggio seguendo il tracciato della decauville (i binari dei carrelli minerari).
    Un percorso didattico di 7 Km (comprensivi di andata e ritorno), facile e suggestivo, segue il vecchio tracciato del treno della miniera, una delle prime vie ferrate private italiane (1870), che portava la lignite alla più vicina stazione ferroviaria percorrendo in modo pressoché pianeggiante la gola del Crevole grazie a scavi nella roccia, terrapieni ed un ardito Ponte Nero (vedi anche percorsi in bici).
    Questo percorso è stato proposto come Geotopo di Interesse Locale (GIL-37) per la presenza di diverse formazioni rocciose, in primis imponenti strati di radiolariti di diverso colore: rosse (diaspri, per la presenza di ossidi di ferro), verdi (ftaniti, per la presenza di grafite) e nere (liditi, per la presenza di pirite). Si tratta di gusci silicei di organismi marini depositati a oltre 4000 metri di profondità sui fondali marini dell'antico oceano del Giurassico, e localmente arricchiti da strati di ossidi di manganese frutto delle eruzioni sototmarine.
    Nei diaspri lungo il percorso: patine di ossidi di manganese, raramente microcristallino. Nei gabbri alterati a circa 1 km dall'inizio del percorso, in località Fondo Bello: analcime (= analcite), laumontite, prehnite, grossi cristalli di diallagio e, con un po' di fortuna cabasite e epidoto, oltre ad una segnalazione di natrolite. Nei gabbri lungo il limitrofo torrrente Crevolone, in filoni feldspatici: albite e, raramente, orneblenda, prehenite, talco, zoisite. Sul sovrastante Monte Pertuso segnalata anticamente una modesta attività di coltivazione di talco.
    In quest'area furono anche sfruttate verso la metà del '900 (1944-1957, e poi nei primi anni '70) piccoli banchi di manganese che affioravano tra i diaspri lungo il Fosso Crevole, il Fosso Crevolone e sopratutto il Fosso della Chiesa, con un tenore del 33-36% di Mn. Nei cumuli di discarica e nelle trincee dei numerosi siti di estrazione, oggi dimenticati e invasi dalla vegetazione, possiamo trovare i minerali coltivati: braunite (diffusa in forma compatta, talora microcristallina), pirolusite (anche in cristalli aciculari in forma raggiata) e meno frequentemente psilomelano. Poco comuni calcedonio, calcopirite, goethite, hausmannite, manganite, marcasite, opale, pirite e quarzo, mentre era nota tra i collezionisti l'abbondanza di rodocrosite in un sito lungo il Fosso della Chiesa nei pressi dell'abitato di Pompana: un carbonato di manganese di colore rosa in diverse tonalità, accompagnato da calcite manganesifera anch'essa rosa (manganocalcite), aragonite e dolomite.
    Caratteristico della zona è il "calcare balzano", dove strati di colore bianco si alternano a strati grigio scuro, un tempo utilizzato per produrre calce aerea di ottima qualità: sono visibili antiche cave e piccole fornaci, talora ben conservate.
    Percorrenza in auto (fino all' inizio dei percorsi): 26 Km, 35 minuti.

Gola del Merse (ferro?)

    Una bella passeggiata nella Riserva Naturale dell'Alto Merse offre la possibilità di attraversare un'area che nel medioevo fu oggetto di attività metallurgica ed anche estrattiva.
    Lungo il percorso ci sono i ruderi di due ferriere che facevano parte di un sistema di una dozzina di opifici attivi nel bacino del Merse tra il 14° ed il 17° secolo: qui hanno trovato la forza idraulica necessaria ad azionare i mantici e le forge, il legname per alimentare le fornaci ed il quarzo per abbassare la temperatura di fusione: infatti siamo all'interno di una vasta area occupata dalle rocce del "Gruppo del Verrucano", rappresentato sopratutto da anageniti e quarziti, accompagnate da scisti e metarenarie.
    Una è la Ferriera di Brenna, documentata dalla prima metà del XV secolo fino al XVII secolo ma probabilmente antecedente, della quale rimangono alcuni tratti di un canale di 500 metri per la captazione dell'acqua, un deposito di scorie ed un muro con arco, forse la bocca della fornace, oggi inglobato nella casa colonica di epoca successiva (Casa Ferriera), ormai diruta e soffocata dalla vegetazione nonostante il tentativo di valorizzazione con un pannello esplicativo.
    L'altra si trova a pochi chilometri: i ruderi testimoniano un opificio di 30 metri di lato ed alto fino a 6 metri, dotato di un canale che portava l'acqua del fiume all'interno del perimetro. Non è stata individuata una sua citazione nei documenti medievali, ma una richiesta di sfruttamento minerario del 1952 segnala in questa località i resti di una "fonderia etrusca", di depositi di scorie e degli ingressi di due gallerie franate nelle sovrastanti pendici, delle quali si sono perse le tracce.
    E' stato quindi ipotizzato che queste ferriere hanno lavorato anche materiale locale, sebbene molto scadente, in situazioni di carenza del minerale proveniente dall'Isola d'Elba, la cui alta resa compensava i costi del trasporto.
    Nella zona sono infatti noti diversi siti con mineralizzazioni ferrose e precisamente, da nord a sud: al Poggio Siena Vecchia (sommità e versante est), a Castiglion Che Dio Sol Sa (nella cessa forestale a nord-est), attorno a Casa Ferriera ed altre nella zona di San Lorenzo a Merse (vedi).
    I minerali presenti nei massi erranti e negli affioramenti rocciosi, in piccoli filoncelli, sono ematite (lamellare), goethite, limonite e raramente siderite, oltre a quarzo e, in alcuni siti, clorite e dolomite.
    Percorrenza in auto: 17 Km, 15 minuti; + camminata 2,3 km (Casa Ferriera).

Giacimento di S.Lorenzo a Merse (mercurio)

    Nei dintorni di San Lorenzo a Merse, che si raggiunge con la superstrada Siena-Grosseto, sono state trovate mineralizzazioni di cinabro di origine idrotermale (solfuro di mercurio).
    La loro scoperta risale agli anni '60, quando le ricerche di cinabro effettuate negli alvei degli affluenti del fiume Merse evidenziarono che i detriti di alcuni fossi presentavano concentrazioni di mercurio simili a quelle presenti nei corsi d'acqua vicini alle ricche miniere di mercurio del Monte Amiata (vedi oltre).
    Le successive indagini portarono ad individuare diversi siti con presenza di cinabro diffuso nella massa argillosa e cristallizzato in venuzze nelle fessure di anageniti, quarziti e scisti, sopratutto sul Poggio Sincera e sul limitrofo Poggio Le Buche. Il minerale si trova ad una profondità di circa 40 cm ed in un'area coperta esclusivamente da boschi, e per questo sfuggito alle ricerche nonostante l'antica tradizione mineraria della zona, ma ulteriori indagini hanno appurato che raggiunge al massimo una potenza di 4 metri e non sono presenti giacimenti profondi.
    Nella zona sono state anche individuate mineralizzazioni di ematite e goethite nei massi di anagenite sparsi sulla sommità di Poggio Le Buche, in un taglio della strada a sud del Poggio Sincera e attorno a Iesa. Si tenga presente che una parte delle aree sopra indicate ricadono oggi all'interno del fondo chiuso delle foreste demaniali.
    Poco distante, sulle sponde del fiume Merse, si trovano quattro piccole sorgenti termali allineate, la più importante delle quali in corrispondenza delle risaie: qui si trovano i resti delle terme del Doccio (dette anche terme di Macereto), distrutte dalla piena del 1960, dalle quali sgorgavano acque termali assai copiose. La provincia di Siena è infatti molto ricca di acque termali.
    Percorrenza in auto: 27 Km, 30 minuti; + camminata 0,3 Km e oltre.

Miniere di Pari (antimonio, piombo, rame)

    Poco dopo i Bagni di Petriolo entriamo in una zona interessante dal punto di vista minerario e mineralogico.

    Lungo la superstrada Siena-Grosseto, nell'area tra il ponte sul Farma e la galleria, si trovava la miniera di antimonio "La Selva", attiva saltuariamente tra il 1870 ed il 1921, con pozzi, gallerie, trincee, teleferiche ed impianti per il trattamento del minerale. Alcuni resti sono scomparsi con la costruzione della superstrada e dello stabilimento termale, altri sono nascosti dalla vegetazione come i ruderi della fonderia di San Martino costruita nel 1904 ed il primo cantiere della miniera detto "Trincerone": uno scavo lungo 120 metri, largo 50 e profondo 15.
    Le caratteristiche geologiche sono simili alla miniera delle Cetine di Cotorniano: antimonite, gesso, marcasite, quarzo, solfo, stibiconite, meno comuni ankerite, baritina, cervantite, dolomite, metastibnite, orpimento, realgar, siderite, valentinite, ed altri molto rari, mentre cristalli di pirite (4 mm) e patine di ematite sono indicate solo nei rendiconti dell'epoca.

    A S.Antonio in Valdaspra (Casale di Pari) fu attiva saltuariamente tra il 1872 ed il 1957 una miniera di piombo. Il principale minerale estratto era la galena argentifera (con un rendimento fino a 500 kg a metro lineare di galleria) e secondariamente marcasite, ma era abbondante anche la sfalerite. La galena era disseminata in venette nel calcare paleozoico o in noduli arrotondati dall'azione delle acque all'interno di cavità carsiche e spesso ricoperti da una sottile crosta di cinabro (chiamati dai minatori "patate"): si tratta di un giacimento piuttosto peculiare, classificato come un raro MVT (Mississippi Valley Type).
    Nel bosco sono ancora visibili i ruderi di un fabbricato in pietra, gli ingressi delle gallerie, trincee e discariche: comuni quarzo, dolomite, galena, poco comuni o rari ankerite, aragonite (la quale tappezzava le cavità carsiche), azzurrite, calcopirite, cerussite, gesso, malachite, marcasite, sfalerite.
    Il nome deriva dall'Eremo di Sant'Antonio, fondato nel 1206 e poi gestito dal monastero di Lecceto (Siena), quindi abbandonato ed oggi scomparso. Papa Pio II, di origine senese, lo descrisse "orrido tugurio ... mal sicura dai lupi e dai cinghiali, soli abitatori di quel deserto."

    A sud di Pari, sul Monte Acuto, caratterizzato da mineralizzazioni atipiche rispetto ad altre ofioliti toscane, fu coltivata nel corso dell'800 una piccola miniera di rame e furono effettuate a metà '900 alcune ricerche, oggi nascoste dalla vegetazione: rame nativo, calcocite, cuprite, digenite, ematite, epidoto (piccoli granuli), malachite, talco.
    Su queste pendici fu trovato anche un blocco superficiale di rame nativo di 20 kg, all'interno di lenti di quarzo incluse in serpentine metamorfosate, conservato a lungo nel Castello di Montepescini, oggi di proprietà pubblica ed abbandonato.

    Percorrenza in auto:
La Selva: 30 Km, 25 minuti; S.Antonio Valdaspra: ulteriori 8 km, 13 minuti + camminata 50'

Miniere di Rapolano Terme (manganese)

    Nella zona di Rapolano Terme, furono scoperti nelle radiolariti (diaspri) strati di minerali di manganese con uno spessore tra i 5 ed i 40 cm, poco profondi, ma così numerosi da rappresentare un giacimento considerevole.
    Tuttavia, a causa del basso tenore (20-25%) e delle difficoltà di escavazione (strati di minerale piegati e interrotti), la coltivazione avvenne in modo saltuario tra il 1873 ed il 1946, in genere con scavi a trincea e raramente in galleria, alcune delle quali ancora presenti.
    I cantieri erano cinque: i principali quelli di Monte Martino (GIL-21) e di Poggio Santa Cecilia, gli altri quelli del Podere di Sotto, Selva e Buoninsegna.
    Il principale minerale estratto era il wad (miscela di ossidi e idrossidi di manganese, in masse compatte o friabili), assieme alla pirolusite (in genere amorfa, talora in aggregati raggiati e raramente in cristalli prismatici), accompagnate da goethite, limonite (anche in bellissime colorazioni iridescenti), quarzo e, raramente, aragonite, gesso, manganite, pirite, psilomelano, minerali cupriferi (trovati solo in un cantiere: azzurrite, bornite, calcopirite, malachite, rame nativo).
    A Poggio Santa Cecilia, durante la costruzione di un mulino (1461), fu scoperto un giacimento di allume di buona qualità, sostanza usata in conceria, tintoria, farmacia e metallurgia, mai sfruttato perchè i tre proprietari dei terreni non riuscirono a trovare un accordo, nonostante l'elevato prezzo del momento.
    Percorrenza in auto: 37 Km, 33 minuti.

Cave di Rapolano Terme (travertino)

    Rapolano Terme è famoso per le sorgenti termali e le cave di travertino ancora attive: oltre a quello bianco, si estrae travertino con tonalità dal beige al tortora, mentre quello aranciato proveniva dall' Acqua Borra, vicino a Siena.
    Nei banchi di travertino è frequente trovare particolari formazioni di calcite pisolitica (sferoidale) o stalattitica, dovute alla deposizione in cavità preesistenti del carbonato di calcio contenuto nelle acque termali (foto).
    Inoltre, in alcune cave abbandonate di pietrisco attorno a Rapolano si trova marcasite (in noduli con struttura raggiata), goethite, dendridi di manganese e raramente minerali cupriferi al contatto tra calcari e diaspri (azzurrite, bornite, calcopirite, malachite, rame nativo).
    Percorrenza in auto: 31 Km, 30 minuti.

Sito di Levane

    In un terreno agricolo nei pressi di Levane si trova la kutnohorite (foto), raro carbonato di calcio e manganese, prima segnalazione di questo minerale in Italia.
    Si presenta in piccoli aggregati cristallini trasparenti, in genere associati ad aragonite aciculare anch'essa trasparente, ed anche ad ossidi di ferro e di manganese (goethite) che conferiscono al tutto un colore giallo, rosso, marrone o nero lucente. In un altro terreno agricolo nella zona si trovano aggregati con sola aragonite.
    Questi minerali sono cresciuti in piccoli geodi carbonatici di cm 1-5 di diametro, i quali si trovano sciolti nel terreno fino ad un paio di metri di profondità e vengono in superficie con i lavori agricoli ed il dilavamento della pioggia.
    Non è chiara la genesi, ma la zona di ritrovamento, un'area di sedimentazione in ambiente marino costiero (Limi di Terranova) fu soggetta a fenomeni vulcanici, e le acque surriscaldate, sature di sali minerali, raffreddandosi diedero origine a questi geodi (1,5-2,5 milioni di anni fa).
    Percorrenza in auto: 46 Km, 43 minuti.

Miniera di Querceto (magnesio)

    A 5 Km a sud-est di Casole d'Elsa si trovano i resti di una importante miniera di magnesite, che ha formito carbonato di magnesio con un tenore del 96-98% di Mg, il più alto di tutta la Toscana.
    Il giacimento, probabilmente molto esteso ma scarsamente esplorato nel complesso, consiste in diversi filoni localizzati all'interno del serpentino al confine con i gabbri. Sono stati in parte coltivati solo due filoni pressoché paralleli, che talora si ricongiungevano e talora divergevano di alcuni metri, larghi da pochi decimetri a 4-5 metri con una media di 2 metri, con 5 livelli di gallerie fino a 70 metri di profondità,
    La miniera fu attiva in modo saltuario tra il 1923 ed il 1944 quando venne abbandonata per l'allagamento causato dai danni bellici, la concorrenza del minerale estero, gli elevati costi di trasporto allo stabilimento di lavorazione (Genova) ed il peggioramento della qualità del materiale estratto.
    Il minerale si presenta in masse molto dure e compatte, di aspetto detto "porcellanoide" per la colorazione bianca uniforme e la frattura concoide, ed anche in formazioni concrezionate "mammellonari" (magnesite pisolitica). Localmente abbondanti nella massa i noduli di opale, spesso traslucido e con colore variabile dal bianco-beige al giallo-verdastro.
    L'ingresso alla discenderia è stato occluso e gli impianti hanno lasciato poche tracce, ma nel bosco sono presenti cumuli di materiale estratto: abbondante la magnesite, presenti opale, dolomite, montmorillonite, prehnite. Dal medesimo affioramento ofiolitico provengono i campioni di malachite e steatite conservati al Museo di Storia Naturale di Siena.
    Percorrenza in auto: 36 Km, 32 minuti; + camminata 1 Km.

Miniera del Pavone
(rame, argento?)

    La miniera del Pavone, detta anche Miniera di Montecastelli, conserva imponenti ruderi ottocenteschi nei quali si trova l'ingresso di una galleria ancora parzialmente praticabile ma pericolosa per le numerose piccole frane.
    La miniera ed il torrente prendono forse il nome dalle iridescenze del principale minerale estratto, simile a quelle delle piume del pavone: in inglese, la bornite è infatti chiamata peacock ant (minerale del pavone).
    Nelle discariche della miniera: aragonite, azzurrite, auricalcite, bornite, brochantite, calcocite, calcosina, calcopirite, galena, magnetite, malachite, pirite, psilomelano, sfalerite, xonotlite (raro, identificato nel 1996). Nelle rocce ofiolitiche lungo il torrente Pavone: analcime, andradite varietà topazzolite e demantoide, aragonite, crisotilo, grossularia, idromagnesite, magnetite, prehnite, vesuvianite, xonotlite, zoisite.
    Percorrenza in auto: 50 Km, 55 minuti; + camminata 1-3 km.

Cave di Casole d'Elsa / Chiusdino (alabastro gessoso)

    In provincia di Siena c'è uno specifico bacino di sedimentazione dell' alabastro gessoso: quello di Casole d'Elsa - Chiusdino - Radicondoli, distinto da quello di Volterra.
    Anche da quest'area Etruschi e Romani hanno estratto alabastro per realizzare urne cinerarie e suppellettili, e fin dal Medioevo gli artigiani di Volterra hanno prodotto oggetti d'arredo di ogni tipo, dovendo però oggi ricorrere quasi esclusivamente ad alabastro spagnolo per l'esaurimento dei giacimenti conosciuti nella zona.
    L'alabastro gessoso è una varietà di gesso con tessitura microcristallina, di aspetto trasparente e con particolari proprietà meccaniche che lo rendono facilmente lavorabile. Si trova all'interno delle masse gessose sotto forma di "ovuli" (detti anche "arnioni"), di dimensioni fino a un metro e mezzo di diametro, con caratteristiche diverse a seconda delle impurità: agata (giallastro, rosato o rossastro, per inclusione di ossidi di ferro e manganese), gabbro (bruno), cinerino (grigio), bardiglio (ricco di venature grigie), bianco venato (con alcune venature grigie), scaglione (bianco).
    Dalla cava abbandonata di Monteguidi (Casole d'Elsa), in località Pian dei Gessi, proveniva uno dei più pregiati tipi di alabastro, detto "bardiglio agatato di Monteguidi": di interesse mineralogico sono il gesso (anche nella forma geminata "coda di rondine") e la marcasite (glomeruli nelle argille, poco comune). In quest'area c'era anche una miniera di zolfo coltivata nell' '800 (percorrenza in auto: 40 Km, 43 minuti).
    Dalle cave in località Podere Sant'Agata, presso Luriano (Chiusdino) proveniva invece l'alabastro bardiglio: gesso, marcasite, dolomite; oggi sono abbandonate, ma poco distante è stata individuata una nuova area di estrazione (percorrenza in auto: 36 Km, 44 minuti).
    L'alabastro bianco venato proveniva invece da una cava vicino a Chiusdino, detta di Podere al Moro o di Monte Capino, oggi con movimento franoso in atto, indicata nel piano estrattivo della Regione Toscana come potenzialmente suscettibile di ulteriore estrazione (percorrenza in auto: 38 Km, 44 minuti; dal sito precedente: 15 minuti, 6 km).

Cava di Castelnuovo dell'Abate (alabastro calcareo)

    L'alabastro calcareo, detto anche alabastro orientale (in quanto i Romani lo importavano dall'Egitto) o alabastro onice (per la somiglianza con l'onice, che in gemmologia indica una varietà di calcedonio) è carbonato di calcio depositato da acque termali che contenevano acidi umici o fulvici, ioni metallici e sostanze pigmentanti, che hanno formato disegni suggestivi.
    La cava storica nei pressi di Castelnuovo dell'Abate (Montalcino) è un Geotopo di Interesse Regionale (GIR-12) ed uno dei pochi giacimenti presenti in Italia. Ha fornito materiale particolarmente pregiato denominato "Alabastro di Siena", usato per costruire edifici di grande valore come la vicina Abbazia di Sant'Antimo, la Chiesa barocca di San Martino di Siena (la più importante del Terzo omonimo, in cui è divisa la città) e la Cattedrale di Siena.
    La cava, utilizzata dai Romani, nel Medioevo e riattivata nel secolo scorso fino al 1992, presenta due fronti e conserva ancora blocchi di alabastrite attorno al bordo, il sistema di carrucole per il taglio ed un magazzino costruito con blocchi di scarto.
    Percorrenza in auto: 48 Km, 50 minuti.

Lagoni di Travale (solfo, acido borico, solfato ammonico, vetriolo verde, allume)

    Un tempo dai lagoni dell'area geotermica Travale - Radicondoli - Larderello si otteneva solfo (usato in medicina, nella polvere da sparo, ecc), acido borico ("sale sedativo di Homberg"), solfato di ammonio (concime), solfato ferroso idrato (o vetriolo verde, usato come disinfettante e colorante) e allume (concia delle pelli e molti altri impieghi).
    In questa zona sono stati trovati minerali unici al mondo: sono pochissime le emergenze naturali dove si rinviene un numero così elevato di specie minerali rare in un'area così ristretta. Si tratta di croste e masse cristalline di solfati e borati (foto) che si formano al bordo dei lagoni, ai lati dei rivoli di acqua geotermica ed in corrispondenza dei punti di uscita dei vapori endogeni, per evaporazione dell'acqua, condensazione del vapore ed alterazioni della roccia affiorante.
    I minerali trovati quasi esclusivamente in questa regione sono otto: ammonioborite, biringuccite, ginorite, larderellite, nasinite, santite, sassolite (acido borico) e sborgite. Altri tre minerali sono stati trovati solo ai lagoni di Travale, per la prima volta al mondo: boussingaultite, mascagnite (solfato di ammonio) e mohorite. Presenti anche alunite, thenardite ed epsomite.
    Oggi molte manifestazioni naturali sono scomparse o ridotte a causa dell'estrazione di fluidi geotermici per la produzione di energia elettrica. Qualche minerale si trova ai margini di scorrimento di fluidi geotermici (foto). Sotto le pietre, in corrispondenza delle emissioni di vapore endogeno, avviene la sublimazione dello solfo in cristalli aciculari, detto anche "zolfo fumarolico" (foto).
    Da non mancare una breve visita al caratteristico centro storico di Travale, il quale ha una forma circolare per via dell'antico castello nel quale si sono inglobate le abitazioni.
    Percorrenza in auto: 40 Km, 55 minuti; + camminata 0,3 Km.

Miniere Montieri/Gerfalco
(argento, rame, piombo, marmo rosso)

    Alle pendici delle Cornate di Gerfalco, la montagna più alta delle Colline Metallifere, sorgono due piccoli borghi, un tempo castelli minerari ed oggi meta dei campi estivi dei bambini senesi.
    Attorno si possono visitare miniere di argento, rame e piombo, coltivate fin dall'epoca etrusca ma soprattutto tra l'XI ed il XIII secolo, quando l'area fu acquisita dalla Repubblica di Siena, fino alla chiusura nel corso del XV secolo, quando l'economia ripiegò sulle castagne e poco altro, con una parziale riattivazione nel XVIII secolo sotto il Granducato di Toscana.
    Delle miniere abbandonate rimangono lunghe gallerie come quelle che si inoltrano sotto i paesi di Montieri e Gerfalco, gli avvallamenti circolari che indicano i siti di vecchi pozzi, i resti di edifici utilizzati come fonderie dove è ancora possibile trovare le loppe derivate dalla fusione dei minerali argentiferi.
    I minerali trovati nelle aree minerarie sono aragonite (foto), calcopirite, fluorite, galena argentifera, gesso (anche varietè "specchio d'asino"), pirite, quarzo (detto "diamante di Montieri" per la particolare lucentezza), sfalerite, tetraedrite argentifera.
    Un breve sentiero conduce da Montieri ad alcuni ingressi delle gallerie argentifere come alla Buca delle Fate, ed un interessante anello trekking che passa da Gerfalco conduce agli ingressi delle miniere di Poggio Mutti ed alle cave di marmo rosso (Geosito di Interesse Regionale).
    Il marmo rosso, detto anche marmo persichino o marmo ammonitico, caratterizzato da un colore rosaceo e da grandi ammonniti fossili, fu utilizzato per decorare il Duomo di Siena e per lastricare gran parte delle case del luogo, e racconta fenomeni di sedimentazione avvenuti 190-180 milioni di anni fa in un ambiente marino poco profondo ma lontano dalla costa.
    Percorrenza in auto: 48 Km, 57 minuti; + camminata vari percorsi.

Miniere di Boccheggiano
(rame, ferro, pirite)

    Le miniere di Boccheggiano hanno dato grandi soddisfazioni agli appassionati di minerali: aragonite (foto), pirite (foto), galena (foto), gesso (foto), azzurrite, auricalcite, calcantite, calcocite, calcopirite, calcosina, clorite, bismutinite, blenda, bornite, celestina, ematite, epidoto, fluorite, goethite, limonite, magnetite, malachite, marcasite, melanterite, pirrotina, quarzo, sfalerite, smithsonite, tetraedrite, zolfo. Da segnalare che l'aragonite, in passato indicata col nome di aragostronzianite o stronzianite, presenta una fluorescenza rossa ai raggi ultravioletti.
    E' difficile stabilire quando iniziò lo sfruttamento minerario nella zona, in quanto l'intensa attività estrattiva ha cancellato le tracce precedenti. Le prime notizie storiche risalgono al 1330 circa, e nel 1350 Boccheggiano passò sotto il controllo di Siena.
    Nella seconda metà dell'800 la coltivazione divenne razionale grazie all'invenzione del "metodo Conedera" per la produzione del rame: i suggestivi resti di questa tecnica di lavorazione sono gli imponenti cumuli di scorie di colore rosso presenti lungo la strada Massetana, noti come "Le Roste" (Geosito di Interesse Regionale).
    Ad inizio novecento l'industria estrattiva determinò ulteriori trasformazioni come la costruzione del villaggio Merse, oggi demolito, con abitazioni per le famiglie e strutture ricreative nate attorno al Pozzo Serpieri e agli edifici industriali.
    Nei primi decenni del '900 chiusero le miniere di rame, poco dopo chiusero tutte le altre, ma nello stesso periodo venne aperta a Campiano una nuova miniera di pirite, sfruttata tra il 1974 ed il 1996 con metodi all'avanguardia, in quanto i camion si inoltravano nel sottosuolo per caricare direttamente il minerale, mentre enormi pompe estraevano una ingente quanto inaspettata quantità di acqua che altrimenti avrebbe invaso le gallerie, ma la coltivazione fu interrotta per il crollo del prezzo dell'acido solforico e per l'assenza nel giacimento di minerali più pregiati nonostante le aspettative iniziali.
    Doveroso ricordare che, dopo la chiusura, la miniera di Campiano fu utilizzata per immagazzinare illegalmente scorie metallurgiche, ma le acque hanno invaso le gallerie e nel 2011 sono fuoriuscite con un colore bruno-rossastro, riversandosi per mesi nel fiume Merse col loro carico di metalli pesanti (arsenico, cadmio, piombo), fino a quando fu realizzato l'attuale depuratore, con elevati costi di gestione.
    Percorrenza in auto: 43 Km, 50 minuti.


Miniera di Torniella (allume, caolino)

    Una notevole formazione di rioliti caolinizzate e solfatizzate si trova nel versante nord-est del Monte Alto con miniera di caolino in località Piloni presso Torniella (Roccastrada), antico castello entrato a far parte della Repubblica di Siena nel 1255.
    L'estrazione del caolino iniziò alla fine dell'800 e divenne intensa a partire dal 1936, quando l'Istituto Luce ha prodotto un breve documentario intitolato "La miniera di Caolino a Monte Alto, unica in Italia". E' una delle miniere ancora attive in Toscana e fornisce un'importante materia prima per molti prodotti industriali, dai refrattari alle ceramiche. Tuttavia il comitato di cittadini "Val di Farma", nato nel 2002, denuncia un eccessivo disturbo ambientale.
    Lo scavo viene condotto a cielo aperto in diverse aree ricavando materiali che, opportunamente miscelati, consentono di ottenere diversi tipologie di caolino con caratteristiche costanti. In passato furono realizzate anche delle gallerie, probabilmente per valutare l'estensione del deposito, e nella zona furono aperti altri siti di estrazione oggi tornati all'uso agricolo e forestale (località Chiusi, San Girolamo, Grottoni).
    Il caolino è un materiale di aspetto farinoso e amorfo, di color bianco-giallognolo, con venature ferrugginose e porcellaniche, che si è formato per alterazione della riolite (una roccia vulcanica). provocata da fluidi idrotermali che in questa zona l'hanno attraversata nelle sue fratture.
    I componenenti principali sono caolinite (predominante), halloysite (che al massimo raggiunge la percentuale del precedente) e quarzo (abbondante in quanto persistente al disfacimento); gli altri sono alunite (un solfato, predominante in alcune aree sfruttate nel medioevo per ricavare allume ed oggi abbandonate) e relitti di cristalli di biotite sfuggiti alla caolinizzazione con attorno un alone di idrossidi di ferro. Una relazione dell'epoca segnala, in un vecchio sito di estrazione, la presenza nella massa di nitidi cristalletti di zircone e raggruppamenti di sferoliti di calcedonio. Negli affioramenti di rioliti non caolinizzate, usata come materiale da costruzione, si trovano cristalli di sanidino anche di 4 cm.
    Percorrenza in auto: 52 Km, 55 minuti.

Miniere del Monte Amiata (mercurio)

    Il Monte Amiata, che gli abitanti della zona chiamano "La Montagna", è un antico vulcano alto oltre 1700 metri, terra di eretici e di minatori, che si staglia all'orizzonte dell'agriturismo La Torretta.

    Attorno venivano coltivate diverse miniere di mercurio, che fecero dell'Italia il secondo produttore mondiale: la più vicina a Siena è quella di Pietrineri (o Pietri Neri), attiva dal 1902 al 1979, dove i lavori erano particolarmente difficili per le forti emanazioni gassose.
    E' rimasta una piccola discarica di sterili, di media pezzatura, disposti a terrazze, in mezzo ad una zona a putizze (emissioni di anidride carbonica e idrogeno solforato): cinabro, celestina, gesso, marcasite e, poco comuni, orpimento, pirite, quarzo e realgar, segnalati metacinnabarite, stibnite, dawsonite, dolomite e millerite. Poco distante c'è una cava di gesso abbandonata: gesso, quarzo nero.
    Percorrenza in auto: 65 Km, 70 minuti.

    Alle pendici della Montagna si trovano le cave abbandonate di farina fossile (o "latte di luna", usata per preparare mattoni refrattari) e quelle di terre bolari (o "Terre di Siena", pregiati coloranti naturali usati nei dipinti del Rinascimento): una collezione di terre bolari si puï vedere al Museo di Storia Naturale di Siena.


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