MINIERE E MINERALI A SIENA
Il territorio
La Toscana meridionale è l'unica area al mondo dove l'attività estrattiva si svolge da 2500 anni e dove è
presente una notevole varietà di rocce e minerali che la rende di grande importanza scientifica e didattica.
Non a caso fu proprio un senese, Vannoccio Biringuccio, a pubblicare nel 1540 il De Pirotehnia, che non è soltanto
una bella opera della stamperia rinascimentale, ma sopratutto il primo testo al mondo della moderna scienza mineraria e metallurgica,
all'epoca tradotto in diverse lingue.
Tuttavia, l'attività mineraria nel senese non ha mai generato grandi ricchezze, per una serie di motivi:
- l'esiguità dei giacimenti (c'é di tutto, ma poco),
- l'insufficiente rete stradale e ferroviaria,
- le resistenze dei proprietari terrieri, che fino al 1927 detenevano tutti i diritti sul sottosuolo e imponevano eccessivi oneri,
- la scarsa propensione degli imprenditori locali ad investimenti nel settore minerario.
Già nel 1561, l'ambasciatore veneto Vincenzo Fedeli descrisse i senesi come persone che "non attesero mai ad industria
alcuna, se non a quella dell'agricoltura", cosa che si è protratta fino ai giorni nostri, garantendo un ambiente salubre ed a misura d'uomo.
Dove trovare minerali in Toscana. In questa pagina sono descritti i siti del patrimonio minerario e del patrimonio
mineralogico della Toscana nei dintorni di Siena: gli itinerari mineralogici, le miniere attive, le miniere abbandonate
ed i siti minerari dismessi in un raggio massimo di 60 Km e 60 minuti di percorrenza da Siena, accompagnati da foto dei
minerali da noi trovati e da mappe scaricate dal web.
Si raccomanda di chiedere il permesso di accesso ai proprietari, di non avvicinarsi a vecchie strutture,
fronti di cava, gallerie minerarie ed emanazioni gassose, e di non esporsi a minerali pericolosi (amianto, ossidi di piombo, ecc).
Da non perdere la visita al Museo di Storia Naturale di Siena,
che espone raccolte di rocce, minerali e fossili provenienti da tutta la Toscana. Particolarmente interessanti sono:
- la collezione di marmi gialli della Montagnola Senese;
- la collezione di terre bolari del Monte Amiata;
- la collezione dei minerali grezzi e lavorati delle miniere di Campiglia Marittima.

La zona di Siena è una delle aree più ricche di siti mineralogici e geologici.

Il Pirotechnia, scritto dal senese Vannoccio Biringuccio nel 1540, è il primo testo al mondo di scienze metallurgiche.

Il Museo di Storia Naturale di Siena dispone di una ricca collezione di minerali e rocce della Toscana meridionale.
Miniere di Lornano e Poggio Orlando (solfo)
Presso Lornano, in localià Miniera, vicino all'uscita Badesse del raccordo autostradale Siena-Firenze,
si trova il più grande giacimento di solfo della Toscana, anche se piccolo se confrontato con quelli siciliani. Lo zolfo, oltre
che in masse e formazioni granulari, si presentava anche in cristalli bipiramidali ben formati e di notevoli dimensioni (fino a 6 cm), che erano
ricercati dai principali musei italiani.
L'attività estrattiva di queste miniere di zolfo impiegò un centinaio di operai e si svolse dal 1899 al
1908 nella miniera di Lornano e dal 1909 al 1923 nella miniera di Poggio Orlando, situata a meno di 100 metri di distanza (mappa a lato), oltre ad
una modesta ripresa tra il 1937 ed il 1946 con la ricerca di Montenero distante 200 metri.
Inizialmente lo sfruttamento di questa miniera di solfo fu conveniente solo per l'isolamento in cui si trovava
Siena, tanto che il prodotto veniva venduto sul mercato locale come antiparassitario dei vigneti; sucessivamente furono prodotti pani spediti
da Castellina Scalo per essere destinati a molteplici impieghi industriali.
Tuttavia il giacimento è stato sfruttato solo in parte a causa della notevole presenza di acqua in
profondità, ed è anche mancato il permesso dei proprietari confinanti per continuare la coltivazione: probabilmente è quindi un
giacimento piuttosto esteso, come testimoniato dalla presenza nella zona di sorgenti solfidriche e di pozzi dai quali si sprigiona un odore di idrogeno solforato.
Lo zolfo veniva estratto da un banco di marna bituminosa situato sotto uno strato di argilla e veniva raffinato sul posto
in dei forni Gill che utilizzavano la lignite estratta nei dintorni (Lilliano: vedi sotto): due forni sono ancora visibili, assieme a magazzini,
officine, al dormitorio - refettorio ed alla palazzina dell'amministrazione oggi abitazionne privata.
Gli ingressi alle miniere non sono più riconoscibili e nella vecchia discarica, oggi terreno agricolo privato,
si possono trovare in occasione dell'aratura frammenti di zolfo ed efflorescenze di gesso (un tempo abbondante e nerastro per le inclusioni di
bitume), mentre aragonite e celestina sono sempre state rarissime.
Sempre nel Chianti, altri piccolissimi giacimenti di zolfo sono stati sfruttati nella prima metà dell' 800 nella zona
di Aiola (Vagliagli), dove erano associati a sorgenti termali ormai scomparse e ad una putizza ancora esistente.
Percorrenza in auto: 14 Km, 15 minuti.
Miniera di Lilliano (lignite)
Nelle colline argillose attorno a Siena venivano coltivate decine di miniere di lignite xiloide,
formate in ambienti lacustri di 5-6 milioni di anni fa: a Belcaro, nei dintorni di Grotti, ai margini di Pian del Lago, nella piana del Casino,
nell'area di Lilliano e Campalli, tra Lucignano e Bossi in Chianti. Per decenni è stata una risorsa energetica importante, dato che
l'Italia era priva di giacimenti di carbone e petrolio.
La lignite era per lo più utilizzata per le locomotive della stazione ferroviaria, la ferriera di Colle Val d'Elsa,
la raffinazione dello zolfo della miniera di Lornano (vedi sopra) e le fornaci da calce e da laterizi della zona, in quanto era conveniente
utilizzarla solo sul posto, dato che conteneva molta acqua e, se spedita, i grossi pezzi arrivavano frantumati con conseguente deprezzamento.
La concorrenza del carbone e del gasolio portò alla chiusura delle ultime "bocche" nel 1965, oggi tradite solo da macchie nerastre che spiccano nei campi lavorati.
La miniera più interessante è nei pressi di Lilliano (lungo la strada tra Monteriggioni e Castellina in Chianti),
composta da diverse gallerie ed una teleferica portava il materiale alla stazione di Castellina Scalo.
Sono giunti fino a noi buona parte degli edifici minerari, perché riutilizzati come rimessa per gli attrezzi agricoli o recuperati a fini
abitativi. Curiosa la cappella dedicata a Santa Barbara, oggi all'interno di un'area residenziale completamente recintata, dove la porta di
ingresso ha delle piccozze come maniglie: è la protettrice dei minatori, venerata in una grande festa che solo i più vecchi ricordano.
Nei terreni circostanti è ancora possibile trovare dei frammenti di legno silicizzato (pietrificato) e di lignite xiloide.
Percorrenza in auto: 26 Km, 26 minuti.
Cava di Poggibonsi (argilla)
Nella cava di argilla abbandonata che sovrasta l'uscita Poggibonsi Sud del raccordo autostradale Siena-Firenze,
si rinvenivano stupende rose di gesso (cristalli lenticolari), anche di grandi dimensioni (cm. 20-25), simili alle rose del deserto,
ma di colore grigiastro per le inclusioni di argilla e con "petali" di minore spessore.
La formazione di questi particolari aggregati, rinvenuti anche in altre zone del senese, si verifica quando le
acque circolano ad alta temperatura, mentre il gesso "coda di rondine", che si trova nei terreni argillosi circostanti, si forma quando
le acque contengono determinate concentrazioni di acidi organici.
Percorrenza in auto: 30 Km, 23 minuti.
Chianti (calcare)
I Monti del Chianti sono dominati dall'alberese
(calcare marnoso), una pietra da costruzione utilizzata nella zona per realizzare edifici e pavimentare le aie delle case coloniche.
Un tipo raro e particolare, utilizzato per realizzare gioielli e suppellettili, è la "pietra paesina",
detta anche "calcare paesino" o "calcare ruiniforme", oppure "marmo paesino" o "marmo ruiniforme" (ruin marble),
che si trova quasi esclusivamente in Toscana: tagliato e levigato, sembra formare paesaggi astratti o castelli in rovina,
dovuti all'infiltrazione nelle fessurazioni di acque contenenti ossidi ed idrossidi di ferro e manganese.
In alcune aree, nei massi di calcare accatastati ai margini dei vigneti dopo il dissodamento,
è stata trovata marcasite (in piccoli aggregati sferoidali) e quarzo (cristalli di 3-4 mm, talvolta giallastri perché ricoperti
di limonite); altrove, nelle pietre sciolte nei vigneti, si trova pirolusite in forma dendridica ("dendridi di manganese").
Percorrenza in auto: 20 Km, 24 minuti.
Cave della Montagnola Senese (marmo, ferro)
La Montagnola Senese,
che inizia a 10 Km da Siena, è un massiccio calcareo nella quale si aprono numerose grotte
e cave di marmo con bellissime colorazioni gialle, rosse e viola
dovute a intrusioni di minerali di ferro e manganese: si tratta di oltre 70 cave, utilizzate fin dall'antichitè e nel medioevo, alcune delle quali ancora
attive.
Nel marmo, in geodi o in venature, si può trovare quarzo (anche nella rara varietà
"cristallo di rocca", lungo fino a 4 centimetri), meno comunemente idrossidi di manganese e pirite e, non in tutte le cave, ematite (anche in forma
lamellare nei filoni di quarzo contenuti negli scisti sovrastanti i marmi), goethite e rutilo, raramente adularia, anatasio, apatite, aragonite,
azzurrite, bornite, brookite, calcocite, calcopirite, crisocolla, galena, gesso, malachite, siderite, sfalerite e tennantite.
Nella zona sono stati sfruttati filoni di ematite, probabilmente noti già nel VII secolo a.C.
(negli scavi di un villaggio etrusco nei pressi del podere
Campassini in località Monteriggioni è stato trovato un forno fusorio con scorie metallurgiche) e nel XI-XIII secolo
(al castello di Montarrenti c'era una ferriera che forse lavorava anche materiale locale), e certamente nel XV e XVI secolo
(podere La Senese in località Lucerena, dove sono anche presenti depositi di scorie).
Questo ha spinto ad effettuare nel 1939-1940 una serie di scavi, pozzetti e brevi gallerie, con l'estrazione di 800 tonnellate
di minerali ferrosi, trovati in vene quarzose nelle formazioni scistose sovrastanti i marmi o nei contatti tra scisti e marmi, oggi testimoniate
da trincee, pozzetti e cumuli di discariche disseminate, oltre che in località La Senese, anche a Bucaccia, Sassarella, Carecchia, Scopaioli,
Pietra Cupa. I minerali presenti sono ematite, goethite, limonite, siderite, wad e raramente dolomite, magnetite e pirite.
Nelle cave di calcare cavernoso (Lecceto, Bracciano), usato come pietra da costruzione nella zona ed a Siena ("pietra da torre"),
si trovano cristalli isolati di quarzo affumicato bipiramidale di 1-2 centimetri, sopratutto nella parti detritiche superficiali.
In una cava di quarzite abbandonata (Celsa), da tempo nota per la presenza di cristalli di quarzo incolore, caolino e wad,
sono stati trovati nel 2003 monzanite e microscopici cristalli allanite, anatasio e rutilo.
Percorrenza in auto:
alle cave di marmo: 16 Km, 20 minuti.
alle ricerche di ematite: 17 Km, 24 minuti; + camminata 0,5 km.
alle cave di calcare: 10 km, 6 minuti.
alla cava di quarzite: 24 km, 16 minuti.

Una cava attiva di marmo nella Montagnola Senese.

Una storica marmeria alla base della Montagnola Senese. In alto a sinistra, il Castello di Montarrenti.

Il raro marmo Giallo di Siena, utilizzato nel Duomo e nelle case aristocratiche. Foto tratta da www.marmiditoscana.it - Agenzia di Promozione Economica della Toscana
Miniera delle Cetine (antimonio, solfo)
La miniera delle Cetine di Cotorniano
è stata una importante miniera di antimonio, destinata negli anni 2000 a parco minerario subito abbandonato, tanto che oggi i sentieri
sono invasi dalla vegetazione, il canalone nel quale si aprono le gallerie è stato recintato ed il museo minerario allestito a Chiusdino
è dismesso da anni.
Di prossima realizzazione una costosa bonifica del villaggio minerario, oggi in stato di abbandono e di proprietà
della Regione Toscana, esclusivamente finalizzata a rendere vendibili gli edifici: infatti il progetto operativo ha previsto la demolizione
dei ruderi degli ultimi anni dell' '800 e non ha compreso la messa in sicurezza del canalone dove si trovano gli ingressi delle gallerie.
Si tratta tuttavia un Geosito di Importanza Regionale (GIR-18) e anche mondiale: qui sono state trovate 80 specie di
minerali, alcuni dei quali per la prima volta al mondo, e rappresenta un' "unica testimonianza nel suo genere per gli aspetti archeominerari,
storico-sociali e culturali legati al lavoro nelle miniere".
Il villaggio minerario conserva la palazzina dell'amministrazione, la casa del contabile, la casa del caporale, il forno
per il pane, la vasca di raccolta dell'acqua, i resti della vecchia fonderia, del laboratorio di chimica e dell'ufficio postale, il giardino con
gli ingressi murati delle prime gallerie realizzate a fine '800 (chissà cosa nascondono), una rara condotta dei fumi in pietra lunga 100 metri
ed alta 2 metri (destinata alla demolizione, mentre in Sardegna è stata musealizzata), e poco distante la nuova e la vecchia polveriera.
La miniera, attiva in modo saltuario tra il 1878 ed il 1944, ha fornito complessivamente circa 3.000 tonnellate di antimonio,
oltre a solfo e quarzite. Nelle discariche, situate accanto al villaggio, si trovano scorie di fonderia e stibnite (= antimonite), raramente altri minerali.
Poco distante si trova una cava di quarzite abbandonata ("Cava delle Cetine"), pericolosa per i due gradoni alti diversi
metri: muscovite (lamelle nella massa), pirite (cristalli di un millimetro) e, poco comuni, arsenopirite, calcopirite, quarzo xx e tormaline policrome.
Percorrenza in auto: 19 Km, 25 minuti.
Miniera di Camporedaldi
(argento?, piombo, pirite)
Una bella passeggiata nel bosco mediterraneo porta a questa miniera abbandonata tra Spannocchia e Pentolina
(Rosia), nella Riserva Naturale dell'Alto Merse.
Il giacimento consisteva in afforamenti di galena nei calcari di ricoprimento ed una sottostante cupola di pirite,
discontinua ed associata a gesso e celestina, che poggiava su scisti e quarziti del permiano.
La storia scritta inizia verso il 1870, quando fu sfruttato un piccolo affioramento di galena argentifera per ottenere
piombo dai forni della zona, ben presto abbandonato e poi intensamente coltivato dal 1909 al 1922, quando furono realizzate diverse gallerie ed un pozzo
profondo 23 metri. La pirite e la marcasite furono coltivate tra il 1930 ed il 1940, quando l'industria
chimica se ne interessò per estrarre l'acido solforico. Nel dopoguerra, fino al 1959, furono effettuate ulteriori ricerche, trovando solo piccole mineralizzazioni.
Le gallerie sono quasi tutte franate per l'inconsistenza della roccia e solo in un cantiere è ancora visibile
l'ingresso di una galleria (si raccomanda di non entrare in quanto non sono più presenti armature di rinforzo), mentre i fabbricati sono
ridotti a pochi ruderi (cabina elettrica, officina, laveria ed un lungo tratto del canale di approvvigionamento dell'acqua).
Nelle discariche è comune celestina (soprattutto nel cantiere 2, di grande interesse mineralogico, anche in cristalli
di 2-3 centimetri), galena (sopratutto nel cantiere 1, in masse granulari, raramente cristalli di 1-2 mm), litargirio (un ossido di piombo derivato
dalla galena, molto tossico, non citato nelle guide in quanto privo di interesse mineralogico, di aspetto terroso e colore giallo-arancio), marcasite
(anche in forme concrezionate), melanterite, minio (un altro ossido di piombo, in patine rosse sulla galena), gesso (anche in grossi aggregati di
cristalli) e quarzo, mentre rari sono albite, barite, goethite, pirite, zolfo (incrostazioni); citata la sfalerite nelle relazioni minerarie dell'epoca.
Di interesse scientifico la presenza di metasiltiti, rocce di colore grigio viola, marcatamente fogliettate,
formate 240 milioni di anni fa, che hanno contribuito a proporre il cantiere 2 tra i Geotopi di Interesse Locale (GIL-39): sono visibili sopratutto
nell'alveo del torrente che attraversa l'area, caratterizzato da acque di color rosso ruggine, palese testimonianza dell'impatto sull'ambiente dell'attivitè mineraria.
Percorrenza in auto: 22 Km, 30 minuti; + camminata 1,3 Km.

Celestina, Miniera di Camporedaldi (Chiusdino)
cristalli di 0,4 cm max

Mappa del cantiere 2 della miniera detta di Camporedaldi o Pentolina o Spannocchia, in riferimento alle località vicine.

Il torrente che attraversa il cantiere 2 della miniera di Camporedaldi, testimonianza dell'impatto sull 'ambiente delle attività minerarie.
Miniere di Poggio Fogari
(ferro, rame, piombo, argento)
I recenti scavi archeologici effettuati al villaggio ed al castello di Miranduolo (Chiusdino), costruito
su uno sperone di calcare cavernoso ai piedi del Poggio Fogari,
hanno potuto appurare la connotazione mineraria e metallurgica di questo insediamento attivo tra il VII ed il XIII secolo.
Piccole trincee, pozzi e cunicoli minerari sono stati stati individuati all'interno del villaggio, nelle immediate vicinanze
e nel versante opposto del Poggio Fogari, una delle quali dotata di una sala con al centro un pozzo utilizzato per la risalita del minerale.
All'interno del villaggio sono stati inoltre individuati i resti di un vasto impianto metallurgico completo in tutte le sue fasi:
veniva trattato soprattutto il ferro, ma alcune scorie e colate indicano che veniva lavorato anche il rame ed il piombo.
E' stato quindi ipotizzato che calcopirite, galena argentifera, sfalerite e limonite venivano estratti da filoni
a solfuri misti associati ad idrossidi di ferro nella zona di ossidazione superficiale ("cappellaccio" limonitico), individuati
corrispondenza delle faglie che percorrono il Poggio Fogari sia nel calcare cavernoso che al contatto tra questo ed altre formazioni.
Oggi possiamo trovare interessanti mineralizzazioni in una fascia di calcare silicizzato che percorre il versante nord-est
di Poggio Fogari: comuni antimonite, stibiconite, valentinite, quarzo (anche in geodi) e, poco comuni, baritina, calcedonio, solfo. Salendo di
quota, in piccoli affioramenti di diaspro, si trovano ossidi di manganese. In altre aree di calcare silicizzato, segnalata calcopirite nel versante
sud (lungo il fosso della Gallosa), e abbondante calcedonio anche mammellonare lungo la strada provinciale. A poca distanza dal castello, dove
sorgeva la ferriera del Castellaccio, si trovano scorie di fusione, residui della prima fase di lavorazione del minerale e testimoni della ricchezza
dei filoni. Le recenti ricerche minerarie non hanno però individuato giacimenti profondi.
Percorrenza in auto:
al castello: 31 Km, 40 minuti; + camminata 1,3 Km.
al calcare silicizzato: 39 Km, 50'; + camminata 0,3 Km.

Uno scorcio del Castello di Miranduolo, oggetto di una campagna di scavo che ha portato a scoprire nell'area antiche miniere.

Un cunicolo minerario individuato durante le indagini nel perimetro del castello di Miranduolo. Gli scavi hanno rilevato che i cunicoli sono stretti, ma alti abbastanza da poter stare in posizione eretta (tratto da www.unisi.it).
Cava di Fontazzi (gesso)
Questa gessiera abbandonata, proposta come Geotopo di Interesse Locale (GIL-33), occupava decine di operai
che abitavano in un vicino villaggio di cavatori.
La cava è impostata nei gessi della Formazione delle anidriti di Burano, mentre al di sotto (ovvero sotto il livello
del piazzale della cava) ed al di sopra (nella porzione superiore della parete della cava) si trovano le rocce della Formazione di Santa Fiora
(argilliti e siltiti), ad un primo sguardo non facilmente distinguibili: infatti il gesso, normalmente di colore bianco, con il tempo si è
alterato ed è stato ricoperto da una patina più scura.
Le Anidriti di Burano sono rocce costituite da banchi di anidriti (CaSO4) parzialmente o totalmente gessificate
(CaSO4 * 2H2O) di colore bianco, alternati a calcare dolomitico grigio scuro ed a strati brecciati.
Questi depositi si formano in processi evaporitici per precipitazione di soluzioni concentrate di acqua di mare, dette salamoie.
Quindi il sito racconta un ambiente di deposizione in acque basse e ferme, come una laguna costiera, ed un clima arido o semi arido, riferibile al Triassico superiore (225-200 milioni di anni fa).
Nel gesso (il quale si presenta anche in grandi lamine trasparenti) si può trovare lo zolfo, e nel calcare
dolomitico si può trovare limonite e siderite, mentre rari o rarissimi sono aragonite, baritina, dolomite, dowsonite, fluorite, marcasite,
millerite, quarzo.
Percorrenza in auto: 20 Km, 16 minuti; + camminata 0,3 Km.
Cava Poggio la Croce, Murlo (marmo verde di Vallerano)
Le ofioliti attorno a Vallerano, villaggio di antichissime origini, hanno fornito il serpentino per
la costruzione del Duomo di Siena e di altri importanti edifici.
Veniva estratto dalla cava di Poggio la Croce (geotopo di importanza regionale GIR-19) e soprattutto
dalle sottostanti "prode dei fossi" di Pietracupa e dei Fangacci, conosciuto anche come il "fosso degli Scalpellini",
dove si trovava il materiale migliore, il tutto gestito dai frati dell'Eremo di Monte Specchio. In queste aree le serpentine sono adatte ad un uso
ornamentale in quanto si presentano meno fratturate che altrove e di un verde molto scuro per la notevole presenza di magnetite dispersa nella massa
(marmo verde o marmo nero di Vallerano).
La prima notizia risale al 1271, quando un documento dell'Opera del Duomo cita una petraia nei pressi del vicino
Ponte di Macereto, dove venivano preparati blocchi di 80-100 kg, ognuno dei quali veniva trasportato con un mulo attraverso impervi sentieri
(in media, partivano 7 muli al giorno).
Nei secoli successivi la cava è stata abbandonata o sottoutilizzata, a parte una ripresa tra il 1930 ed il 1980 con l'estrazione di lastre
per pavimenti e granulati per piastrelle, a cui si riferiscono gli scivoli verso il piazzale inferiore dove avveniva la lavorazione del materiale.
Oggi è classificata come "cava storica" ed è utilizzata solo per ricavare materiale per i restauri.
Antigorite, crisotilo (amianto), lizardite, serpentino (roccia composta dai minerali precedenti), serpentino tipo
ranocchiaia (varietà di serpentinite tipica della Toscana, con striature scure di magnetite alternate a striature chiare di serpentino),
ematite e limonite (entrambi in patine rossastre o giallastre); poco comuni bornite, calcopirite, clorite, crisocolla, diallagio, grossularia,
malachite, pirite.
Percorrenza in auto: 26 Km, 30 minuti; + camminata 0,2 Km.
Miniere di Vallerano, Murlo (rame, manganese)
Presso il paese di Vallerano, nel serpentino, sono visibili tracce di ricerche minerarie di rame.
La storia inizia tra la metà dell' 800 e gli inizi del '900, quando furono estratti alcuni blocchi superficiali di calcopirite.
Durante la prima guerra mondiale furono realizzate trincee, pozzi e gallerie, con l'estrazione di diverse centinaia di tonnellate di calcopirite,
che veniva trattata sul posto.
Nei primi anni della seconda guerra mondiale furono prolungate le gallerie essitenti, trovando solo deboli mineralizzazioni piritoso-cuprifere
nonostante le grandi aspettative iniziali.
A metà pendice resta la discarica della galleria principale (oggi quasi completamente ostruita),
mentre sulla sponda del torrente sottostante c'é una discarica di scorie: qui infatti si trovavano gli impianti
per l'arricchimento, delimitati da un muro a secco in parte ancora presente e all'epoca dotati di un canale che captava l'acqua più a monte.
Per raggiungere l'area mineraria è difficile utilizzare la vecchia scenderia a causa della fitta vegetazione e
dell'elevata pendenza, ed è anche difficile partire dal ponte sul torrente Pietracupa per seguire il greto fino al piazzale inferiore.
Nel materiale molto alterato della discarica superiore sono segnalati i seguenti minerali, in ordine di frequenza:
calcopirite, malachite, azzurrite, bornite, calcosina, covellite, talco, crisocolla, cuprite, sfalerite, calcocite, rame nativo.
Sempre nel colle di Vallerano, nei diaspri, fu coltivata durante la prima guerra mondiale una piccola miniera di manganese
(tenore medio del 35%), oggi testimoniata dalla presenza nel bosco di brevi gallerie, trincee e cumuli di minerale estratto: abbondante la pirolusite
(comune anche in piccoli cristalli, raramente con dimensioni di 3-4 mm all'interno di geodi), raro lo psilomelano.
Nella zona sono stati concessi estesi permessi di ricerca, per cui può capitare di imbattersi in cumuli di materiali
di scavo. Documenti storici segnalano il ritrovamento di rame nativo non solo sul
colle di Vallerano ma anche in quelli circostanti, come sul Poggio al Piano e nei pressi di Montepescini, oggetto di ricerche minerarie senza esito.
Un filone di talco, mai coltivato, taglia in direzione NW-SE il fosso Pietracupa. Alcuni autori segnalano a Vallerano una miniera di antimonio,
indicata in vecchie carte geologiche: in realtà è un errore di stampa, perchè nel punto marcato c'é la miniera di rame.
Percorrenza in auto: 22 Km, 28 minuti; + camminata 0,6 Km.
Miniera di Poggio Abbù, Murlo (rame)
E' una delle più interessanti miniere di rame della Toscana.
Il geosito (GIL-45) si sviluppa in una parete di diabase a strapiombo sulla sponda destra fosso del Convento,
in un paesaggio di selvaggia bellezza nella Riserva Naturale del Basso Merse e nei pressi dei suggestivi ruderi dell' Eremo di Montespecchio
(o Conventaccio), costruito nell'XI secolo utilizzando materiali della zona:
il serpentino ed il "calcare rosato", un conglomerato a cemento calcareo di origine lacustre.
Le mineralizzazioni consistono in vene di calcopirite immerse nel quarzo e disseminate nella massa del diabase,
associata a minori quantità di bornite (= erubescite) e pirite cuprifera, con tenore medio in rame del 10%. Il minerale è anche diffuso
nella massa basaltica in minutissimi elementi con tenore dello 0,5%.
E' possibile che le prime coltivazioni minerarie siano da collegare al vicino
sito archeologico etrusco di Poggio Civitate
(Murlo), dove sono state trovate scorie metallurgiche
(raggiungibile in un'ora e mezzo con un percorso trekking segnato).
Sono ormai scomparse le cinque gallerie realizzate durante la seconda guerra mondiale (1940-1944, con modesta ripresa 1952-1956),
anche prolungando quelle aperte nei primi anni del '900: quella situata nella quota più bassa, lungo la gola del fosso del Convento, è
prossima alla totale occlusione per i materiali franati, mentre le altre gallerie erano già franate nel 1956. Non c'é nemmeno traccia
dei fabbricati indicati nelle mappe dell'epoca, scomparsi per effetto delle frane e delle piene del torrente.
Sul ripido versante rimangono due piazzali con cumuli di minerale alterato: molto comuni calcopirite (anche in noduli),
pirite, quarzo, sfalerite (= blenda), patine di covellite e malachite; rare bornite (patine sulla calcopirite), calcosina, crisotilo, cuprite, galena, malachite xx,
melanterite, prehnite e rozenite. Alcuni di questi minerali sono contenuti in nidi e venule all'interno di una pasta argillosa grigiastra.
Più a valle, sempre nel diabase, fu segnalata la presenza di stannite in ganga silicea ad alto contenuto di stagno
(con il quale, unito al rame, si produce il bronzo) e di sfalerite varietà marmatite (blenda nera).
Percorrenza in auto: 28 Km, 25 minuti; + camminata 2 Km.
Miniere di Murlo (lignite, manganese)
"Miniere di Murlo" è
un villaggio minerario nato accanto ad un grande giacimento di lignite picea e recentemente tornato ad essere abitato,
dal quale partono interessanti sentieri.
Un percorso ad anello di 3 km, non segnalato, attraversa il cantiere minerario attivo dal 1830 al 1948 occupando fino a 300
operai: prima segue il fondovalle del Crevolicchio passando davanti al traliccio del Pozzo del Cerrone che portava a 60 metri di profondità,
realizzato nei primi anni del '900 in sostituzione di un manufatto in muratura. Poi sale di quota e raggiungere il piacevole lago dell'Acquabuona,
nato verso il 1930 a causa della diga-discarica formata con le argille che ricoprivano i banchi di lignite del soprastante cantiere Roma.
Da qui, salendo ancora, si raggiungono le aree dove avveniva lo scavo a cielo aperto e proseguendo si arriva al poggio del Farneto, dove si trovava
la polveriera (frammenti di laterizio) e l'inizio della vecchia scenderia (visibile un ancoraggio di cemento). Infine si scende verso il
Fosso del Serpentaio dove si trovano gli ingressi murati delle gallerie, per poi tornare verso il villaggio seguendo il tracciato della decauville
(i binari dei carrelli minerari).
Un percorso didattico di 7 Km (comprensivi di andata e ritorno), facile e suggestivo, segue il vecchio tracciato del
treno della miniera, una delle prime vie ferrate private italiane (1870), che portava la lignite alla più vicina stazione
ferroviaria percorrendo in modo pressoché pianeggiante la gola del Crevole grazie a scavi nella roccia, terrapieni ed un ardito
Ponte Nero (vedi anche percorsi in bici).
Questo percorso è stato proposto come Geotopo di Interesse Locale (GIL-37) per la presenza di diverse formazioni
rocciose, in primis imponenti strati di radiolariti di diverso colore: rosse (diaspri, per la presenza di ossidi di ferro), verdi (ftaniti, per
la presenza di grafite) e nere (liditi, per la presenza di pirite). Si tratta di gusci silicei di organismi marini depositati a oltre 4000 metri
di profondità sui fondali marini dell'antico oceano del Giurassico, e localmente arricchiti da strati di ossidi di manganese frutto delle eruzioni sototmarine.
Nei diaspri lungo il percorso: patine di ossidi di manganese, raramente microcristallino. Nei gabbri alterati a circa 1 km
dall'inizio del percorso, in località Fondo Bello: analcime (= analcite), laumontite, prehnite, grossi cristalli di diallagio e, con un po'
di fortuna cabasite e epidoto, oltre ad una segnalazione di natrolite. Nei gabbri lungo il limitrofo torrrente Crevolone, in filoni feldspatici:
albite e, raramente, orneblenda, prehenite, talco, zoisite. Sul sovrastante Monte Pertuso segnalata anticamente una modesta attività di coltivazione di talco.
In quest'area furono anche sfruttate verso la metà del '900 (1944-1957, e poi nei primi anni '70) piccoli
banchi di manganese che affioravano tra i diaspri lungo il Fosso Crevole, il Fosso Crevolone e sopratutto il Fosso della Chiesa, con un tenore del
33-36% di Mn. Nei cumuli di discarica e nelle trincee dei numerosi siti di estrazione, oggi dimenticati e invasi dalla vegetazione, possiamo trovare
i minerali coltivati: braunite (diffusa in forma compatta, talora microcristallina), pirolusite (anche in cristalli aciculari in forma raggiata)
e meno frequentemente psilomelano. Poco comuni calcedonio, calcopirite, goethite, hausmannite, manganite, marcasite, opale, pirite
e quarzo, mentre era nota tra i collezionisti l'abbondanza di rodocrosite in un sito lungo il Fosso della Chiesa nei pressi dell'abitato di Pompana:
un carbonato di manganese di colore rosa in diverse tonalità, accompagnato da calcite manganesifera anch'essa rosa (manganocalcite), aragonite e dolomite.
Caratteristico della zona è il "calcare balzano", dove strati di colore bianco si alternano a strati grigio scuro,
un tempo utilizzato per produrre calce aerea di ottima qualità: sono visibili
antiche cave e piccole fornaci, talora ben conservate.
Percorrenza in auto (fino all' inizio dei percorsi): 26 Km, 35 minuti.

Il Ponte Nero della ferrovia della miniera di lignite di Murlo, cosà chiamanto per il colore con cui fu tinteggiato, oggi percorso natura.

Il villaggio minerario: a sinistra un magazzino a due piani, a destra i "nuovi" forni per il cemento, che lavoravano le marne estratte dalla retrostante cava.

Una imponente parete di diaspro manganesifero inciso dal torrente Crevole.

Pirolusite microcristallina. Da una trincea lungo il torrente Crevolone, Murlo. (larghezza cm. 5)
Gola del Merse (ferro?)
Una bella passeggiata nella Riserva Naturale dell'Alto Merse offre la possibilità di attraversare
un'area che nel medioevo fu oggetto di attività metallurgica ed anche estrattiva.
Lungo il percorso ci sono i ruderi di due ferriere che facevano parte di un sistema di una dozzina di opifici attivi
nel bacino del Merse tra il 14° ed il 17° secolo: qui hanno trovato la forza idraulica necessaria ad azionare i mantici e le forge,
il legname per alimentare le fornaci ed il quarzo per abbassare la temperatura di fusione: infatti siamo all'interno di una vasta area occupata
dalle rocce del "Gruppo del Verrucano", rappresentato sopratutto da anageniti e quarziti, accompagnate da scisti e metarenarie.
Una è la Ferriera di Brenna, documentata dalla prima metà del XV secolo fino al XVII secolo ma
probabilmente antecedente, della quale rimangono alcuni tratti di un canale di 500 metri per la captazione dell'acqua, un deposito di scorie
ed un muro con arco, forse la bocca della fornace, oggi inglobato nella casa colonica di epoca successiva (Casa Ferriera),
ormai diruta e soffocata dalla vegetazione nonostante il tentativo di valorizzazione con un pannello esplicativo.
L'altra si trova a pochi chilometri: i ruderi testimoniano un opificio di 30 metri di lato ed alto fino a 6 metri,
dotato di un canale che portava l'acqua del fiume all'interno del perimetro. Non è stata individuata una sua citazione nei documenti medievali,
ma una richiesta di sfruttamento minerario del 1952 segnala in questa località i resti di una "fonderia etrusca", di depositi di scorie e
degli ingressi di due gallerie franate nelle sovrastanti pendici, delle quali si sono perse le tracce.
E' stato quindi ipotizzato che queste ferriere hanno lavorato anche materiale locale, sebbene molto scadente, in
situazioni di carenza del minerale proveniente dall'Isola d'Elba, la cui alta resa compensava i costi del trasporto.
Nella zona sono infatti noti diversi siti con mineralizzazioni ferrose e precisamente, da nord a sud:
al Poggio Siena Vecchia (sommità e versante est), a Castiglion Che Dio Sol Sa (nella cessa forestale a nord-est), attorno a Casa Ferriera
ed altre nella zona di San Lorenzo a Merse (vedi).
I minerali presenti nei massi erranti e negli affioramenti rocciosi, in piccoli filoncelli, sono
ematite (lamellare), goethite, limonite e raramente siderite, oltre a quarzo e, in alcuni siti, clorite e dolomite.
Percorrenza in auto: 17 Km, 15 minuti; + camminata 2,3 km (Casa Ferriera).

Gli imponenti ruderi di una ferriera in Val di Merse. Nel 1952 una richiesta per il recupero delle scorie di fusione segnala nella zona la presenza di ruderi e di due gallerie franate.

Una piazzola con scorie di fusione nella gola del Merse. I forni a catasta seguivano l'avanzare del taglio del bosco per l'approvvigionamento del combustibile. Intorno alla piazzola, mineralizzazioni ferrifere nelle anageniti.

Un guado nella gola del Merse, il fiume che per secoli ha fornito la forza motrice a ferriere e mulini. Oggi è all'interno della Riserva Naturale dell'Alto Merse.